Indagine Gdf, tre ai domiciliari e 4 interdetti da professione
Sette tra imprenditori e prestanome operanti nel settore della fabbricazione e commercializzazione del legno e dell’acciaio sono stati raggiunti da un’ordinanza cautelare – 3 ai domiciliari e 4 con l’interdizione all’esercizio di attività professionali e d’impresa – perché ritenuti, a vario titolo, responsabili di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ai danni dell’erario. Nell’ambito dell’inchiesta “Fratelli d’acciaio” sono stati anche sequestrati beni per circa 6 milioni di euro. I finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro, coordinati dal procuratore di Lamezia Terme Salvatore Curcio e dal pm Marta Agostini, hanno eseguito il provvedimento del gip Rossella Prignani, in Lombardia, Piemonte, Puglia e Calabria, ponendo ai domiciliari Alfredo Mercuri, di 56 anni, Antonio De Fazio (52) e Alberto Pietro Banchini (60), di Milano, e notificando l’interdizione a Manny Mercuri (47), Felice Ventura (56), Antonello Villella (46) e Romano Villella (68).
Sequestrate le quote societarie della Dierre Alluminio e della Allmer, per circa 3,5 milioni di euro, e delle somme di denaro, costituenti il presunto profitto del reato, per circa 2,5 milioni. Secondo l’accusa, alcune società del gruppo Mercuri, nota famiglia imprenditoriale Lametina, dopo aver accumulato debiti tributari e contributivi, negli anni precedenti la dichiarazione di fallimento, sono state svuotate dei in favore di altre imprese riconducibili allo stesso nucleo familiare, gestite direttamente dagli stessi o da prestanome. Il sistema è stato nascosto con l’emissione di fatture per prestazioni di servizi o la cessione di beni da parte delle società decotte verso le altre imprese, il cui pagamento era garantito da “effetti cambiari” quasi totalmente non onorati, tanto che le stesse società sono state oggetto di pignoramento mobiliare da parte di Equitalia Sud. Le indagini dei finanzieri del Gruppo di Lamezia avrebbero consentito di accertare che la “cambializzazione” era stata predisposta per lasciare volutamente a carico delle società fallite una consistente esposizione debitoria, per circa 10,5 milioni, nei confronti dello Stato.